La transizione intelligente dell’attività di consulenza all’interno dello Studio
di Giuseppe Ossoli – Estratto dell’articolo pubblicato a Gennaio 2016 sul Consulente Tributario
La cosiddetta “consulenza di massa” ha cessato da tempo di costituire il paradigma della professione, perché è stata progressivamente privata dei propri mercati di riferimento. La consulenza tributaria deve trovare il suo sfogo nelle nicchie e specializzarsi, inserendosi in segmenti di mercato che devono essere serviti con un’attenzione crescente, tale da generare uno scambio conoscitivo e reciproco sulle capacità professionali di ognuno e sollecitare a rispondere con un’offerta sempre più sofisticata di prodotti e servizi. Questa tendenza potrebbe benissimo stare all’origine di una nuova possibile rivoluzione professionale che ci identificherebbe come importanti interlocutori di una società moderna e che ci qualificherebbe come validi professionisti, dandoci credibilità. Non è dal perimetro dei soli Studi di elaborazione dati, di ogni dimensione, che verrà nel futuro una possibilità rilevante di sviluppo dell’occupazione e della nostra professionalità.
Per ottenere valore aggiunto, compreso creare nuovi posti di lavoro, bisogna rivolgere lo sguardo altrove: nella “service economy”, nel frastagliato arcipelago del terziario, dove vanno potenziate produttività ed efficienza, acquisendo un respiro anche internazionale. Dobbiamo avere il coraggio di immaginare i nostri Studi con i lineamenti che già oggi si scorgono, con quella fluidità di relazioni che sorregge un magma di attività differenziate. Lo notiamo anche durante i nostri incontri e l’ultima Assemblea Nazionale è stata un’ennesima riprova di tutto ciò. È una prospettazione, questa, che manda in crisi le attitudini consolidate utilizzate per parlare del lavoro e per giudicare la sua qualità, ma che non di meno va accertata fino in fondo nella sua realtà. L’elaborazione pura non svanisce per questo dal nostro orizzonte, né, come potrebbe sembrare in prima battuta, scema di rilievo, ma non può essere la componente che appone il proprio timbro alla società. Gli Studi e la popolazione lavorativa che li abitano rimarranno anche nel nostro futuro, ma dovremo imparare a leggerli con le categorie diverse rispetto a quelle del passato. Dobbiamo ripensare ai nostri Studi un po’ come alla scuola del professor Keating, che proprio ultimamente ho avuto il piacere di rivedere nel famoso film “L’Attimo fuggente” di Peter Weir ed interpretato dal rimpianto Robin Williams. La riflessione è quella di preparare il nostro futuro leggendo le regole in una prospettiva diversa, con il significato di pensare ad un nuovo modo di esercitare la professione, così come il professor Keating ha ripensato al modo di fare la scuola: con un pizzico di volontà rivoluzionaria. Non che la cosa sia giusta o sbagliata, ma certamente da rivedere: sia la scuola che lo Studio. Il grande Robin Williams sarà per sempre, per tutti noi, il professor John Keating dell’Attimo fuggente. L’indimenticabile professore di lettere che arriva in un college americano e alla prima lezione dice ai ragazzi di strappare le pagine del libro di testo, perché non è su quelle pagine teoriche che si impara a leggere la poesia. Il professore che sale sulla cattedra e da lì, in piedi, in giacca e cravatta e le mani in tasca, dice ai ragazzi che non bisogna fermarsi alle poche e solite certezze, ma saper vedere il mondo da più angolazioni. E se il nuovo “attimo fuggente” fosse interpretato dal “Ragionier Brambilla” della nostra bella provincia italiana?….